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na; hiatus crinibus infartos, genuinos inter antias
adumbratos. Tota oris contumelia mugiret si posset.
NemSa certe (si quis Genius) ingemebat: tunc enim so
circumspexit Leonem perdidisse. Così ne parla in sua
lingua Tertulliano. Non altrimenti le vestimenta e i tito-
li, insegne e caratteri proprj de Letterati, portati da gen-
te senza Lettere e rozza, piangono la loro sciagura, ve-
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dendosi condannati adessere perpetuamente bugiardi,
poichè dicono a quanti li veggono, essere un Lione chi è
un Giumento, essere un Uomo di Lettere chi e come
certi libri (disse ad un simile Luciano) che di fuori vaga-
mente dipinti e riccamente indorati dentro sono fogli
senza lettere e carta bianca.
Quanti di questi sì veggono andar sì gonfj e sì super-
bi, che sembrano quello sferico perfetto de Geometri,
che non tocca terra fuor che in un punto? Vedendo
quello che pajono, si scordano di quello che sono; e qua-
si Bucefali con la gualdrappa, non degnano che li tocchi
ne miri senon il primo Re del mondo.
Tale era un certo mezz uomo, contra di cui Luciano
aguzzò sì bravamente lo stile. Costui, come ancor oggidì
molti, misurava il suo sapere dalle lettere che avea non
nel suo capo, ma sa gli scritti altrui; come se il senno de
Filosofi ne libri loro, quasi in ampolle serrato, come
quello d Orlando, potesse con solo fiutarlo tirarsi tutto
al cervello, e con ciò farsi in capo una libreria di tanti
Autori, di quanti se ne hanno i libri nelle scanzie. Sic
apud desidiosissimos videbis (disse Seneca) quidquid
orationum historiarumque est, et tecto tenus extructa
loculamenta. Ma raccorre a questa maniera libri, e trar
loro ogni giorno di dosso la polvere, non usando essi per
trarre a sè dal cervello la ruggine, questo si giudica da
Sidonio, membranas, potius amare, quam Litteras. Que-
sto è fare più riguardevole la casa, che il padrone: sì co-
me avvenne a quell Archelao, per vedere il cui palagio
(poichè era dipinto da Zeusi) si veniva da lontani paesi,
mentre intanto (diceva Socrate) non v era chi, per vede-
re il padrone d essa, movesse un passo. At quid dulcius
libero et ingenuo animo et ad voluptates honestas nato,
quam videre plenam semper et frequentem domum con-
cursu splendidissimo hominum, idque scire non pecu-
niæ, non orbitati, neque officii alicujus administrationi,
sed sibi ipsi dari?
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Daniello Bartoli - L uomo di lettere difeso e emendato
PARTE SECONDA
I difetti de Letterati non è ragione che siano di pre-
giudicio alle Lettere. Nè dee credersi esser qualità di na-
tura quello ch è vizio di mal uso. L Orizzonte imbratta
il Sole con le sordidezze dell Atmosfera: i riflessi della
Terra (se fosse vero l errore di chi lo crede) compajono
nella, Luna a guisa di macchie i vapori dell Aria fanno
parere instabili con un continovo movimento le stelle.
Dunque sordido è il Sole? dunque imbrattata la Luna?
dunque incostanti le stelle?
Non ha cosa nel mondo sì innocente, che rea non sia, se
possono farla colpevole le colpe di chi a mal uso le tra-
sporta. L artui carnefici della crudeltà, gli scettri appoggio
dell ambizione, la bellezza fomite della lascivia, le ricchez-
ze nainistre del lusso, gli onori sostegno dell alterezza, la
nobiltà consigliera del fasto. Ma che cerco io ad una ad
una tutte le cose migliori, se per fino la Santità serve
all Ipocrisia, e la Religione all Interesse? Dunque non con-
danna le Lettere il mal uso, in che sono appresse d alcuni;
sì come neanche i fiori perdono l essere innocenti e belli,
perchè i Ragni vi pascono e ne cavan veleno.
Che s elle, come sono luce dell Intelletto, così ancora
avessero quell immutabile proprietà della luce, che
uscendo dal centro del Sole, porta seco insieme coll es-
sere ancor la rettitudine, sì che non sa nè può diffonder-
si altrimenti che per linee rette, così le Lettere, venendo-
ci, dal gran Padre de lumi di cui son dono, avessero i
raggi delle loro cognizioni inflessibili dal diritto della
Verità e della Ragione; quanto più felici sarebbero esse,
quanto più felice sarebbe il Mondo con esse?
Ma poichè il desiderarlo solo è poco, e l pretenderlo i
troppo; ragionevole m è paruto coll additare alcuni capi
dove hanno peggior uso le Lettere non solo per danno
altrui ma ancora per inganno di chi non sa usarlo (chè
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da queste due origini io gli ho presi) mettere in cuore a
cui ne fa bisogno, col conoscimento degli errori, qual-
che stimolo all ammenda.
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LADRONECCIO
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Ladri, che in più maniere s appropriano le fatiche degli studj
altrui.
L antichissima Arte del rubare, Figliuola naturale del-
la Necessità, benchè dipoi adottiva del Commodo,
s esercita nelle Lettere così bene come ne danari. Cle-
mente Alessandrino ne rapporta a sì antichi tempi l ori-
gine, che, si può dire, che le ricchezze degl Ingegni non
prima cominciarono a comparire che ad esser rubate e
l Elene delle più belle composizioni, tosto che si lascia-
ron vedere, trovarono cento Menelai, cento Paridi, che
le rapirono.
Nè vi sia chi pensi (torcerò per iseberzo a mio proposito
il senso di quell antico detto del Comico), che solamente
Homo trium litterarum sia il medesimo che Fur; cioè, che
vizio solo d uomini di poche Lettere sia il rubare le altrui
fatiche, e con esse comparir belli e farsi ricchi. Anche i più
nobili ingegni e le più dotte penne hanno onorata
quest arte, ajutandosi con l altrui; onde non meno de
grandi Leoni che delle piccole Formiche s avvera, che
Convectare juvat prædas, ci vivere rapto.
Gli scritti del grande Aristotele, è fama che sieno un
bel lavorio a musaico, fatto di proprio disegno, ma di
materia la maggior parte altrui. E se Speusippo, nella
compera de cui libri egli spese tre talenti, se Democrito
se altri tali, le fatiche de cui ingegni Alessandro gli rac-
coglieva, ripigliassero ognuno d essi il loro; chi pareva
una Fenice coll altrui, comparirebbe col suo una Cor-
nacchia.
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Platone da un maldicente udì tacciarsi di ladro, con
querela fatta a nome di Filolao, come se avesse non vo
dire trascritta da lui gran parte del suo Timeo, ma im-
polpatolo di buon sugo succiato da gli scritti di quel se-
condo Pitagora. Eccovi l accusa datagli da Timone:
Exiguum redimis grandi ære libellum,
Scribere per quem orsus perdoctus ab inde fuisti.
E certo, se vi fosse un Archimede, che sapesse ne li-
bri distinguere, quasi misto di due metalli, il proprio e
l altrui; se un Aristofane giudice, che intendesse la lin-
gua de morti, quando parlano per bocca de vivi; so un
Cratino, che mettesse i libri alla tortura e facesse il pro-
cesso de loro furti, come egli fece delle Poesie di Me-
nandro de cui ladronecci compose sei libri; vedreste
quanto sia vero, che Mercurio Dio de Letterati insieme
Dio de Ladri.
Ma in tre ordini, l uno peggior dell altro, pare a me
che ripartire si possa tutta la massa di coloro, che ne lo-
ro libri publicano sotto proprio nome le altrui fatiche.
Sono i primi coloro, che cogliendo da chi una e da chi
un altra cosa, e trasportandole or sotto diverso titolo e
or con ordine contrario, tessono i libri come le ghirlan-
de, nelle quali molti pochi fanno un bel tutto, molti fiori
fanno una corona. Hanno questa discrezione, di rubar
poco ad ognuno, perchè niuno si dolga, e pochi s avveg-
gan del furto; e (dirò così) non rubano le monete, ma le
tosano.
Il nome di questi Autori, a gran caratter i maestosa-
mente scritto nella prima faccia del libro, stupisce di ve-
dersi padre di tanti frutti, de quali egli sa di non aver nè
virtù produttrice, nè seme che generar li possa:
Miraturque novas frondes, et non sua poma.
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